Riflessioni alla luce delle prime indicazioni del Garante sul Decreto Trasparenza

Con il documento web 9844960 il Garante interviene sul Decreto Trasparenza (D.lgs. 104/22).
Il Documento è una lettura di ovvio interesse ed utile supporto. Chiaro (anche se forse con qualche semplificazione) nell’identificare i percorsi logici da fare. Conferma -inevitabilmente vista la funzione di riequilibrio informativo della norma- la natura di strumento essenzialmente di “discovery” se sapientemente utilizzato. Questo punto deve essere tenuto presente da lavoratori e datori di lavoro (ed ovviamente da chi assiste ciascuno dei due nelle rispettive funzioni) nel momento da un lato di accesso all’informazione per la gestione del proprio rapporto, dall’altro nel disegno organizzativo-tecnologico di transizione ed innovazione digitale dell’impresa.
A parte il richiamo (ovvio) dell’art. 4 dello Statuto (che chiarisce forse qualche perplessità iniziale che era stata sollevata da qualche commentatore quando si parla di sistemi automatizzati), è a mio giudizio (non solo centrato, ma) rilevantissimo il riferimento all’art. 8 del medesimo ed alla valutazione che esso impone di cosa sia dato trattabile nel rapporto di lavoro. Norma giustamente da porre in correlazione anche con la valutazione d’impatto (e il registro dei trattamenti come strumento di analisi organizzativa) e le norme del GDPR presupposto dei trattamenti (sia intesi per oggetto sia intesi per modalità). Questo profilo, cioè quello della riflessione su cosa si può trasformare in “non cosa” (per utilizzare concetti magistralmente espressi da altri) nel rapporto di lavoro centra uno dei temi fondamentali su cui si sta focalizzando l’approfondimento non solo teorico (si pensi alle prospettive normative della bozza di regolamento sull’AI) sulla transizione all’applicazione diffusa dei sistemi di management in AI.
Forse proprio da queste prospettive (già proprie della riflessione sociologico-filosofica sull’AI) deve trarre vigore il dibattito giuridico sulla idoneità della normativa giuslavoristica a regolare il nuovo rapporto datizzato, di quella privacy attuale a regolare il futuro (anche alla luce della ipotesi di regolamento che non del tutto è adeguata già adesso all’evoluzione esponenziale e combinata delle tecnologie, anche in relazione al rapporto del singolo con lo Stato), della preveggenza illuminata dello Statuto dei lavoratori e, infine ma in realtà innanzitutto, della eccezionale efficacia della tecnica normativa utilizzata da alcune parti di quella normativa degli anni ’70 per affrontare situazioni complesse che impongono analisi  “a razionalità limitata”.
Cioè tutto il futuro che -in tempi esponenziali- ci si prospetta.
E per questo serve proprio l’Intelligenza.

Andrea Stanchi